Dampyr 245, Sangue sulla Siria - di Claudio Falco e Andrea Del Canto


Il numero di Dampyr uscito questo mese non ha niente di veramente particolare. E' un albo dal sapore classico in cui il nostro affronta un nuovo Maestro della notte, curiosamente con il volto di Jason Momoa, destinato a una breve carriera così come avveniva nei primi anni della collana.

Leggendo l'albo è però scattato qualcosa. Precisamente guardando una delle prime scene, ambientata all'interno della moschea degli Omayyadi, a Damasco.

In Siria sono stato nella primavera del 2012. La guerra era già iniziata, ma sembrava limitata al nord del paese, soprattutto attorno ad Aleppo, mentre l'area attorno alla capitale sembrava al riparo. Pur con parecchi dubbi eravamo però andati e, circondati da importanti misure di sicurezza, cercavamo di portare avanti il nostro lavoro. Rimasi tre mesi in cui la situazione velocemente peggiorò e, caso volle che, durante un mio rientro in Italia per ferie, la società decise di evacuare il cantiere e in Siria non rientrai più.   

Nella moschea entrai proprio il giorno prima di rientrare. A me e un collega, anche lui di rientro in Italia, fu concesso di fare un breve giro nella splendida parte antica di Damasco per fare qualche acquisto e qualche foto ricordo. Furono gli uomini della scorta a chiederci se volevamo entrare nel luogo sacro. Io stavo mangiando qualcosa e pensavo di non potere, ma loro sorridendo mi dissero che non c'era nessun problema. Ci affacciammo così nello spettacolare cortile.


Mi sarei già ritenuto fortunato di quella vista, ma i bodyguard mi portano dentro la navata dove pregano gli uomini. Appena entrati ho potuto vedere il ceppo sul quale, secondo la tradizione, è stato decapitato Giovanni Battista e la sua tomba. Più avanti l'enorme sarcofago del profeta Isaia.

Quella sera sono partito per l'Italia e, come detto, non ho più fatto ritorno a Damasco.

Ma il ricordo più vivo di quei giorni è un altro. Negli uffici dove lavoravamo c'erano tre giovani sorelle. Il loro compito era quello di tenerli in ordine e di preparare per tutti l'immancabile thè. Molto timide, ma allo stesso tempo curiose, pur con un inglese stentato erano riuscite a raccogliere le simpatie di tutti. Sapendo che dovevo andare in Italia chiesi loro se volevano che portassi qualcosa. La più giovane delle tre, non senza difficoltà mi fece capire che le sarebbe piaciuto che le portassi del mascara.

Sono passati otto anni. Otto anni che non riesco neppure ad immaginare quanto possano essere stati difficili per loro. Penso spesso a quel mascara e a come delle ragazzine dovrebbero poter pensare solamente a queste cose e non a dover salvare la vita.   

 

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