Egitto 1 - l'arrivo


La preconvocazione ci fu il giorno del mio compleanno, come sembra essere diventata una tradizione.

Sembrò per un certo periodo che tutto fosse saltato, ma dopo più di un mese arrivò la conferma inderogabile. Arriva via mail, nemmeno una telefonata mi meritavo, la decisione che dovevo andare in Egitto, nel cantiere più brutto, prima a parole per un mese e mezzo ("in attesa che troviamo qualcun altro") e nella comunicazione ufficiale per tre.

Anche se non stavo bene e benchè razionalmente sapessi che andarmene dalla Spagna era la cosa migliore per me, l'idea di lasciare le spiagge dell'Andalusia per il deserto egiziano non mi entusiasmava per niente. Lasciare Algeciras fu una tragedia, sapevo che sarei stato male. Non sapevo quanto.

Il 27 luglio sbarco al Cairo dove un autista mi prende e mi porta alla mia nuova casa.

Damanhur si trova a tre ore dal Cairo e a una e mezza da Alessandria ed è considerata una città piuttosto importante. C'è solo un particolare: a Damanhur non c'è niente! Non c'è un ristorante, non c'è un cinema, non un cemtro commerciale o una pizzeria. Niente.

L'azienda per alloggiarci ha stretto un accordo con l'unico albergo della città, il Mubarak Hotel, un ex ospedale psichiatrico diventato pomposamente albergo presidenziale. L'accordo consiste nell'aver preso due piani dei sette, ristrutturarli a proprie spese e metterli a nostra totale disposizione. In più una sala a piano terra dove facciamo colazione e ceniamo.

Si capisce subito che la pulizia non è il primo pensiero del proprietario, il bagno a piano terra in tutta la mia permanenza NON è mai stato pulito, e che se c'era stato un periodo di gloria questo era lontano di anni.

Visto il mio "alto rango" mi viene comunque assegnata la Suite 2. Quello che la caratterizzava dalle altre era quella di avere due stanze e un letto matrimoniale. Peccato che non avessero lenzuola matrimoniali e che per tutta la mia permanenza ho avuto a che fare con due lenzuola da una piazza messi orizzontalmente. Lo scarafaggio che si infila sotto la porta del bagno mi fa capire che non sarei stato solo.
Scendo a cena trovo i primi compagni di viaggio.
Il primo che incontro è Billi. Un marchigiano che si occupa di controllo qualità. Parla sempre e sempre di Cina o Russia, dove ha trovato la seconda moglie di trent'anni più giovane. Ogni due mesi deve rientrare in Italia per la chemioterapia per un piccolo tumore alla vescica.
Poi ci sono Freddi, l'elettrico, invece molto silenzioso e Danny, il magazziniere filippino.
L'unica faccia conosciuta è quella di Mimmo, conosciuto velocemente qualche anno prima a Voghera. Sapevo che era andato in pensione e che aveva deciso di non lavorare più. Mi dice che quando lo hanno chiamato per assumerlo come consulente ha sparato alto convinto che non accettassero e che invece hanno accettato. Nella sua carriera ha visto tutti i posti di merda possibili, dal Pakistan all'Algeria, per cui non lo spaventa niente. Le uniche sue preoccupazioni sono quelle di finire presto, che sue moglie protesta, e che a cena ci sia sempre la minestra.

Tutti sono più vicini ai sessanta che ai cinquanta.
Sarà una lunga avventura.
(continua...)

Commenti

Anonimo ha detto…
Tutti sono più vicini ai sessanta che hai cinquanta.
NON CI VA L'ACCA!

commento di un ragazzo focomelico ma che sa l'italiano
fede ha detto…
grazie per la correzione, succede a non rileggere quello che si scrive.

non capisco però, se c'è, l'incazzatura. non mi è sembrato di essere stato offensivo con nessuno.

ciao
fede ha detto…
ho eliminato anche l'accenno nel post perchè mi sono accorto di aver detto una cavolata.

chiedo scusa.